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06
settembre
2004
Atti del Waldorf Italia 2004, Levico 15 e 16 maggio 2004.




Per la prima volta sono stati raccolti in forma unitaria sia le relazioni dei conferenzieri che i risultati dei lavori di gruppo dei partecipanti.
Federazione delle scuole Rudolf Steiner in Italia







WALDORF ITALIA 2004
Levico (TN) 15 e 16 Maggio 2004

Incontro per insegnanti, amministratori e genitori
delle scuole Steiner-Waldorf in Italia


L’identità Waldorf nel mondo e in Italia
Cosa ci viene chiesto?
Come rispondere?









Atti del convegno















I testi delle relazioni sono stati tratti da una registrazione e non sono stati tutti rivisti dagli autori.

L’identità Waldorf nel mondo ed in Italia. Cosa ci viene chiesto? Come rispondere?
Relatore: Mario Conti, responsabile del seminario di formazione insegnanti Waldorf per le superiori di Oriago.

Buongiorno a tutti…oggi abbiamo una bella giornata solare, speriamo che c’illumini nel nostro lavoro, che, appunto si dispiegherà oggi ed anche domani, fino a culminare nel plenum.
Quindi cominciamo: il mio compito è quello di fare una specie d’introduzione al tema, sempre più importante, dell’identità della scuola Waldorf. Esso verrà trattato anche domani dal professor Peter Guttenhoffer, che è un docente di Kassel, della scuola di Kassel.
Nell’affrontare questo tema, abbastanza formidabile per essere racchiuso in così poco tempo - in una sola volta soprattutto, vorrei procedere caratterizzando le particolarità di questa scuola in tre momenti successivi.
Un primo livello in cui sicuramente la scuola Waldorf è coinvolta è il rapporto col bambino: ovviamente la scuola Waldorf è scuola e deve occuparsi dell’educazione del bambino. Ma, rispetto ad altri sistemi educativi vi è coinvolta in un modo particolarmente forte. Qui troviamo subito una caratteristica particolare di questa scuola in confronto ad altre, che è quella di una forte personalizzazione nei rapporti col bambino, della esigenza di tener conto dei bisogni evolutivi del bambino alle sue varie età e a livello di ogni singolo bambino.
Quindi non si tratta di confrontare il bambino con certi standard d’apprendimento prefissati, questo è un elemento del tutto secondario nella scuola Waldorf, ma invece di promuovere lo sviluppo armonico del bambino, tenendo conto delle forze in cui vive nelle varie età. Probabilmente sto dicendo delle cose che sono ben conosciute, sicuramente dalla maggior parte di voi che operate nelle scuole, tuttavia è bene ripetere sempre di nuovo che il bambino ha p.es. nel primo settennio delle forze molto diverse da quelle del secondo settennio e del terzo settennio. Noi dobbiamo guardare la realtà, conoscere il bambino e capire di che cosa ha bisogno per svilupparsi. Questo è un compito non piccolo, non indifferente, per il fatto che noi come adulti abbiamo perso, in questa epoca di cultura, la capacità di cogliere veramente quelle che sono le forze attive del bambino. Il fondatore di questa scuola sottolinea spesso quest’aspetto, dicendo p.es. che dobbiamo “passare dal compitare al leggere”.
Questa è una frase che voi ben conoscete, va comunque precisato che l’atteggiamento scientifico della scienza dell’educazione molto spesso è quello di “compitare”, nel senso di prendere atto di manifestazioni del bambino, per esempio, con metodiche di psicologia sperimentale. Si fanno esperimenti e si vede cosa succede, se un certo metodo ha risultati positivi sull’apprendimento migliori di un altro, ecc.: questo è appunto un compitare, mentre l’insegnante Waldorf deve passare dal compitare al “leggere” nel bambino. Un’altra espressione che usa Steiner è questa: “Il bambino, per l’insegnante, deve diventare del tutto trasparente”. Ciò va naturalmente visto in un certo contesto, che tuttavia mi sembra abbastanza chiaro: non si tratta di compiere un’invasione indebita nel campo dell’intimità del bambino, ma di imparare a leggere la personalità di questo bambino per poter attuare, aiutare il suo sviluppo verso l’educazione. A maggiore chiarimento ricordo che il ruolo centrale in tutta la scuola Waldorf è non tanto l’istruzione ma appunto l’educazione, nel senso di ‘portare fuori’, di e-ducere, secondo l’etimologia latina della parola. Quindi non dobbiamo pensare all’educazione come un indottrinamento, come ad un addestramento del ragazzo, ma invece fare in modo che tutti i doni che il bambino porta dal mondo spirituale (qui appunto mi riferisco alla dottrina della reincarnazione), che il bambino, tutti i bambini, le nuove generazioni portano sulla Terra- e mettiamoci pure i bambini “difficili”- questi doni abbiano la possibilità di fiorire ed arrivare a maturità e portare frutto. Il che costituisce un elemento di rottura rispetto a certe forme di struttura sociali invecchiate, una forza di rinnovamento e vitalizzazione molto importante anche dal punto di vista sociale, affinché possa realizzarsi una società migliore, più giusta e più umana.
Quindi l’impostazione che Steiner dà alla sua scuola è di una radicalità estrema: non si tratta di adattare il bambino ad un sistema sociale, ma, viceversa, di sviluppare tutti i doni nascosti che stanno nel bambino e far in modo che questi possano giungere a fiorire; allora da questa fioritura, da queste personalità che riescono ad attivare veramente sulla Terra le loro capacità, potrà nascere una nuova società. Questa è una fiducia, un principio conduttore, che è essenziale nella scuola Waldorf.
A ciò possiamo collegare un altro elemento, che verrà sicuramente trattato anche domani da Peter Guttenhoffer, il fatto che la pedagogia steineriana è nata in un determinato paese e porta delle connotazioni che sono anche nazionali, in quanto appunto è nata in un certo paese, in una certa cultura. Steiner stesso torna spesso su questo tema e sottolinea che non poteva che essere così: una nuova pedagogia realistica non poteva nascere che in un determinato popolo. Con questo però la pedagogia di Steiner non rimane collegata ad un popolo, ad una nazione, ma ha come oggetto, da importanza all’elemento universale umano che è presente in tutti gli uomini di tutti i popoli, qualunque sia la razza, ceto, estrazione, colore della pelle e così via. Questa è un’impronta tipica portata da Rudolf Steiner, per cui già nelle prime scuole tedesche e svizzere c’erano ebrei, ariani e così via e questo è uno dei motivi per cui nel ’38 la maggior parte delle scuole fu chiusa, le scuole Waldorf furono chiuse in Germania, perché appunto in esse si attuava un principio veramente di fondo. L’attenzione all’universale umano, questo è anche un elemento che ci deve guidare nel storicizzare la nostra azione pedagogica. Non si deve indulgere a suggestioni campanilistiche, localistiche, prediligere una certa cultura, ma, mi sembra che sia abbastanza chiaro, si tratta di portare a fiorire questo universale umano in ogni contesto culturale, per cui noi in quanto come uomini (e donne naturalmente) siamo tutti fratelli, tutti uguali indipendentemente dalla razza, ceto, estrazione, colore della pelle, ecc.. In noi è vivo questo archetipo, diciamo così, umano che ha molte manifestazioni “locali”, diversificate, ma noi dobbiamo ricollegarci a questa forza dello spirito umano, all’archetipo che s’incarna in ogni uomo.
Tutto questo richiede però all’insegnante una trasformazione perché appunto, adesso non vorrei affrontare più di tanto quest’argomento, in questa epoca storica la nostra cultura è così intellettualistica, è così astratta, è così superficiale; e lo é proprio come sfida, come una sfida verso di noi, affinché noi possiamo elaborare autonomamente, liberamente un altro cammino, un cammino verso una maggior profondità, verso una maggiore penetrazione nella realtà umana. Questo però può essere realizzato soltanto con la nostra volontà, può avvenire solo se la vogliamo liberamente.
Ecco quindi che nasce il grande, problematico compito di trasformarci, il che in una certa misura è anche possibile. Steiner dice molto chiaramente: “…non si tratta di diventare chiaroveggenti, di arrivare al grado dell’Immaginazione, Ispirazione e Intuizione (cammino questo che è riservato a pochissime persone), essi non sono richiesti assolutamente a tutti gli insegnanti, però l’insegnante deve autoeducarsi e cominciare ad aver un certo sentore che esiste un mondo diverso da quello che ci è mediato semplicemente dall’intelletto, dall’intellettualismo della nostra cultura”. Questo richiede appunto trasformazione, richiede appunto questi periodi di formazione, cominciando dall’elemento artistico, quest’elemento artistico che è così importante, e anche così difficile per alcune persone, ma che porta in noi una profonda trasformazione, una molto maggiore sensibilità per gli elementi profondi dell’essere umano del bambino. E poi questo deve proseguire continua con l’autoformazione. A febbraio abbiamo avuto il convegno dell’Associazione Maestri guidato da Christof Wiechert, alcuni di voi hanno potuto parteciparvi, nel quale egli ha sottolineato fortemente proprio l’importanza di quest’elemento della formazione e della meditazione.
In questo senso ci occorre arte e scienza dello spirito, attività meditativa per il maestro e per il collegio degli insegnanti: questi sono due strumenti poderosi, se li attuiamo con serietà e con sistematicità. Ed essi possono veramente consentirci di cominciare a “leggere” il bambino.
Allora possiamo notare che nell’educazione intervengono, altro elemento interessante che ci viene sottolineato, dei fattori imponderabili. Questi fattori imponderabili sono essenziali e lo saranno sempre di più, perché in futuro l’educazione del bambino e del ragazzo avverrà sempre di più non tanto per le nozioni, ma per le intenzioni ed i sentimenti del maestro.
Steiner sottolinea spesso l’importanza dell’elemento della dedizione, l’elemento dell’amore e, per i più grandi, il volerli guidare verso l’autonomia, verso la libertà, la realizzazione della propria personalità, della propria forza d’iniziativa. Le proposte pedagogiche che ci vengono date vanno intimamente vissute, in modo di comprenderne la pregnanza, l’importanza. Un esempio è l’uso delle immagini: si parla spesso di queste immagini nella nostra scuola, tutte le conoscete, ad esempio l’immagine del bruco che fila il suo bozzolo, diventa una crisalide dalla quale poi si libera la farfalla. Commentando la prassi di portare ai bambini immagini, Steiner ci dice che se l’insegnante le ripete come una storiellina e, dentro di sè ritiene che sia una bambinata, una cosa che si racconta ai bambini, ma che invece lui è molto più intelligente e sa veramente come vanno le cose, che queste cose lui le ha superate…mi viene in mente Collodi, che aveva detto che Pinocchio era una bambinata (però poi si scopre che in Pinocchio c’è una realtà molto profonda, esoterica), se invece il maestro si rende conto della profonda coincidenza tra questo volar fuori della farfalla, con l’anima che alla morte si libera dal corpo e va nel mondo spirituale e ci crede profondamente, il rapporto con la classe cambia totalmente e diventa veramente un rapporto educativo, i bambini sono entusiasti di questo racconto.
Io ho appunto finito un’epoca di chimica in settima classe e ho visto, come vedo da tanti anni sempre più, che compenetrare questo mondo della natura con meraviglia, con amore, con partecipazione e fantasia porta nella classe un’armonia, un entusiasmo incredibile. Certo che però se io, ad esempio, penso che in realtà tutte queste manifestazioni sono solo effetti di azioni meccaniche, di atomi e cose di questo genere, il risultato è totalmente diverso.
Occorre quindi la compenetrazione nella materia d’insegnamento, cercando di comprenderne i motivi per cui essa viene portata, e quindi un’immagine può diventare un’altra immagine. Ma bisogna sviluppare le forze della fantasia, le forze dell’immaginazione e comprendere che esse si approfondiscono nella realtà assai più che la conoscenza scientifica-intellettuale. Infatti dice appunto Steiner a proposito di questo diverso cammino educativo: l’intelletto, la conoscenza intellettuale non si approfondisce molto nella realtà, l’immagine invece dice molto della realtà. Si può però incorrere in errori, e allora accanto alla forza della fantasia noi dobbiamo collegarci con coraggio alla verità. Egli conclude il suo primo seminario per maestri con i noti versetti che qui voglio ripetere:
“Compenetra di fantasia,
abbi il coraggio della verità,
affina il tuo sentimento di animica responsabilità”.
La verità, come viene citata qui, ha il senso di non portare ai bambini delle cose fantasiose, ma delle fantasie che corrispondono a cose reali, ai tempi che stiamo vivendo.
A sostegno della fantasia nell’insegnamento ha avuto luogo recentemente a Dornach, dal 12 al 18 aprile 2004, il Convegno Internazionale dei maestri Waldorf che si tiene ogni quattro anni, a cui hanno partecipato più di 20 insegnanti italiani e questa è stata una cosa veramente molto bella. Ci siamo incontrati con altri 1300 insegnanti da tutto il mondo, veramente una marea d’insegnanti, di 48 Paesi diversi e di tutti i continenti.
Vorrei leggervi una fiaba sulla fantasia molto antica, di origine persiana che è stata riscritta da uno scrittore tedesco del tempo di Goethe, Friedrich Rueckert, la fiaba di Fantasia, Arguzia e Ragione
“In un alto paese montano viveva un tempo una gigantessa enorme: il suo nome era “Fantasia”. Perché non si sentisse sola ed annoiata, aveva accanto a sé, per ingannare il tempo, un nano che aveva nome “Witz” (arguzia). Un po’ discosto c’era una terza figura, che se ne stava spesso sulle sue, non si muoveva molto e amava guardare quello che gli altri due combinavano: era un uomo con una figura ben formata, non troppo alto né troppo piccolo, non troppo grasso, né troppo magro. Si potrebbe desumere che dovesse apparire molto prestante, di fatto però era piuttosto esile e pallido. Il suo nome era “Ragione”.
Un giorno la gigantessa Fantasia alzò appena un po’ una mano. Non che l’avesse dovuta alzare molto, no: essa mosse appena un po’ il suo braccio nell’aria e le sue larghe dita presero una stella! Era veramente una grande gigantessa, non come una di quelle piccole gigantesse dell’Oberland bernese e neanche come quelle del fjell norvegese (poi ci faremo spiegare cos’è questo fjell norvegese..), sebbene qui, come tutti sanno, i giganti sono un po’ più notevoli. Ma ovviamente qui vivono i troll..
Così essa prese una stella e l’agitò un pochino in qua ed in là: allora ne vennero scintille vicine e lontane, come se un fabbro celeste avesse colpito col suo martello l’incudine solare. Figuratevi il nano quando la vide! Come un lampo piombò sulle scintille incandescenti e mise la loro luce nella sua piccola borsa. Poi la gigantessa alzò la mano e questa volta acchiappò una nuvola, la prese e se la mise sulle spalle come un manto. Ora essa riluceva di porpora.
Come Witz vide ciò, come potete ben immaginare, ci saltò dentro. Appena si mostrava anche la più piccola pieghetta nel manto, ci guardava dentro e si sbellicava dalle risa - naturalmente c’erano moltissime pieghe non appena la Fantasia si metteva in moto! Era proprio un ridacchiare vanitoso, nella penombra della sera. Alla fine fu troppo anche per Fantasia, essa disse a Witz che le sue osservazioni le sembravano un po’ sciocche. Ma al paragone con il chiacchiericcio di Witz la sua voce risuonò come un colpo di cannone. Allora il nano tacque immediatamente. Appena però la gigantessa tornò a tacere, lo si sentì di nuovo ansimare e squittire. Soltanto Ragione pareva passare il tempo a disagio, nella comunanza tra Fantasia e Witz. Alla fine si allontanò e mormorò scoraggiato che il tutto gli pareva piuttosto poetico..”
Quindi questo tema della fantasia è un tema immenso, educativamente importante fino ai 18 anni e oltre, sarebbe bello esaminarlo a fondo ma purtroppo non abbiamo tempo. Ecco, sempre in questo primo campo del rapporto del maestro col bambino, vorrei ricordare un'altra caratteristica di questa scuola che secondo me vale la pena di sottolineare e cioè, che come molti sanno, la nostra scuola non è una scuola selettiva, non è una scuola in cui si bocci e in questa scuola non si guarda tanto alle prestazioni, quanto ai progressi ed allo sviluppo del bambino. Mi viene in mente una frase di Steiner che é arcinota, ma che vale sempre la pena di ricordare: “Ci sono tre modi per educare: con l’ambizione, con la paura e con l’amore. Noi rinunciamo ai primi due”.
Qui vedete c’è il rifiuto di una scuola meritocratica, selettiva, privata e che punti solo sull’ambizione dei ragazzi - e dei loro genitori. Non quindi una scuola selettiva per pochi, che diventano i superuomini, i supercapi di domani, ma una scuola in cui l’ambizione non deve avere importanza più di tanto. Noi rifiutiamo la paura, il terrore della punizione, del voto, della bocciatura e tutte queste cose. La vera forza educativa è quella dell’amore, quindi lasciamoci compenetrare dall’entusiasmo per il bambino, di questo essere stupendo che cresce e ci stupisce sempre con la sua bellezza e la sua spontaneità. Quindi badare non tanto ai suoi risultati, le sue prestazioni, quanto al progresso che fa, allo sviluppo che fa.
Tutto questo viene gestito (brutta parola, scusatemi..), viene ‘gestito’ dal maestro di classe, nelle nostre scuole abbiamo il maestro fino all’ottava, salvo qualche eccezione, fino alla sesta sicuramente. Il maestro è il re nella sua classe e gli si deve consentire la libertà pedagogica e creativa, la fantasia e la capacita d’immaginare quello che occorre per i suoi bambini, per dei bambini concreti, proprio quelli che ha in classe, che hanno certi genitori, che hanno certe situazioni, che sono in una certa città. Qui si vede l’importanza di questa libertà pedagogica.
Ora però c’è il fatto, che in una scuola di classi non ce n’è una sola, ce ne sono tante e quindi ci sono tanti re che devono coesistere. A questo punto arriviamo al secondo aspetto, al secondo e più ampio “cerchio” della nostra scuola, non soltanto quello del rapporto col bambino, ma del rapporto sociale, rapporto sociale che i maestri hanno con tutti gli altri maestri della scuola e che hanno anche con i genitori, con tutti gli adulti diciamo che intervengono nel processo educativo.
Come sappiamo, nella scuola Waldorf non c’è un direttore pedagogico, (questo è un argomento che verrà affrontato in uno dei gruppi di studio): ora voglio sottolinearne le motivazioni di fondo, per richiamarcele alla mente. All’inizio della Scuola Waldorf, quando Steiner dette il suo triplice seminario, disse: ”noi non avremo un direttore, il direttore per noi sarà l’antropologia, lo studio dell’antropologia, cioè lo studio dell’antropologia antroposofica e quello che ci dirigerà nella nostra azione è la conoscenza del bambino e le richieste che il bambino ci pone nelle classi”. Vedete, egli ci ha additato un direttore soprasensibile, lo studio che i maestri fanno nel collegio sui bambini e sull’effetto del loro insegnamento su di essi, alla luce dell’antropologia di Rudolf Steiner. Questo è un altro elemento fortemente caratterizzante della scuola Waldorf, che la direzione pedagogica della scuola sia affidata ad una comunità di pari, gli insegnanti, che si riuniscono periodicamente. Qui voglio leggere un testo sul collegio che mi sembra molto significativo. Ci sono vari punti in cui Steiner parla delle riunioni di collegio, ma mi sembra interessante il seguente, preso da “Vita spirituale del presente e educazione”: “Queste riunioni degli insegnanti non hanno solo lo scopo di preparare le pagelle per gli scolari, confrontarsi su questioni amministrative della scuola e simili oppure su punizioni che si devono dare agli scolari se hanno commesso qualcosa di male. Essi sono, in realtà, la continua, vivente università per il collegio, per gli insegnanti, sono il costante seminario.
Lo sono per il fatto che per il maestro ogni singola esperienza che fa nella scuola diviene un oggetto per il suo apprendimento, per la sua educazione. In effetti chi, mentre insegna, mentre aiuta, da un lato trae dall’esercizio dell’insegnamento e dell’educazione il più profondo criterio psicologico per portarlo nella pratica diretta e dall’altro lo trae dalle particolari caratteristiche del carattere e del temperamento del bambino, ricava dalla pratica dell’insegnamento una tale educazione, un tale insegnamento per se stesso che troverà sempre qualcosa di nuovo, nuovo per sé, nuovo per l’intero collegio degli insegnanti, con il quale nelle riunioni devono venire scambiate tutte le esperienze, tutte le conoscenze acquisite nell’esercizio dell’insegnamento. Così il collegio degli insegnanti è davvero integralmente una unità animico-spirituale e ognuno sa cosa fa l’altro, quali esperienze ha, in quale misura l’altro è progredito attraverso quello che ha sperimentato in classe con i bambini.
Così il collegio degli insegnanti si plasma in un organo centrale, dal quale può emanare tutta la linfa per la pratica dell’insegnamento e l’insegnante si mantiene in tal modo fresco e vivo.
Il miglior effetto è presumibilmente che attraverso tali unioni, attraverso una tale vita, nelle riunioni gli insegnanti rimangano appunto interiormente vivi, non invecchiano nell’anima e nello spirito. Infatti il maestro vero e proprio tende a rimanere animicamente e spiritualmente giovane. Questo può avvenire soltanto se una linfa animico-spirituale scorre verso un organo centrale, così come il sangue umano scorre verso il cuore e da là, nuovamente verso la periferia” .
Vedete in questa bellissima caratterizzazione i motivi per cui noi insegnanti ci riuniamo in un collegio e così attuiamo un seminario permanente, che continua tutte le settimane od almeno con grande frequenza, in cui ogni insegnante mette in comune le proprie esperienze, senza senso di rivalità, e che appunto, come dice Steiner in un altro ciclo, ”comunica le sue osservazioni, per l’amore che egli ha per ciascun bambino in particolare. E con ciò io non intendo quel tipo di legame sentimentale di cui si parla spesso, ma l’amore dell’artista per la sua opera d’arte, la sua opera d’arte educativa”. Quindi questo elemento conoscitivo, di messa in comune delle proprie esperienze, indirizzato dal desiderio di fare il bene del bambino, questo crea un’unità animico-spirituale. Può capitare che nei collegi non si riesca a fare questo perché siamo, diciamo, così oberati da compiti organizzativi, da questioni di tutti i tipi ed alla fine la parte di elaborazione della nostra vita scolastica coi bambini passa in secondo piano o addirittura non ha luogo, ma questo è molto pericoloso perché alla fine manca questa unità animico spirituale che appunto è il cuore della scuola.
Il collegio come elemento di freschezza e di giovanilità del corpo insegnanti. In altri passi Steiner raccomanda proprio che l’insegnante non deve inacidire, non deve sclerotizzarsi. Malgrado sia oberato ed angariato dai fatti della vita, della famiglia, della vecchiaia, della malattia, deve trovare altre fonti per rimanere giovane. Anche questo è un tema che potremo sviluppare in un gruppo di studio: questa fonte di giovanilità e di freschezza che è necessaria per educare i bambini, per far fare loro una bella esperienza, da dove la possiamo trarre, come la possiamo ottenere?
Un altro punto importante è naturalmente il rapporto coi genitori. Sempre in “Vita nel presente e nell’educazione” abbiamo una dichiarazione che è molto interessante: “Come la riunione degli insegnanti è importante verso il centro, così verso la periferia sono importantissime le riunioni coi genitori. Cerchiamo d’organizzare le serate coi genitori almeno ogni mese o, in ogni caso, di quando in quando. In esse cerchiamo di riunire genitori che hanno bambini nella nostra scuola e che possono intervenire. Da parte dei maestri viene esposto ai genitori ciò che può creare un legame tra i bambini della scuola e le famiglie. Facciamo gran conto proprio su questa comprensione, che da parte dei genitori viene incontro all’intera scuola, poiché noi insegniamo, educhiamo, facciamo regolamenti e programmi, ma attingendo da quanto è vivente. Non possiamo neppur dire:’Abbiamo seguito il piano di studi che ci è stato ordinato in qualche modo dall’esterno e abbiamo fatto la cosa giusta’ “ . Vedete, questo riferimento: ‘Abbiamo un piano di studi, lo abbiamo seguito, cosa vogliono di più questi genitori? Stiano, buoni, basta!’ non va affatto bene, lo dice proprio lui. In altri passi poi Steiner ritornerà su questo tema, dirà che il piano di studi va meditato, la didattica va dimensionata tenendo conto della situazione sociale, dal come vivono i bambini e i loro genitori e quindi ci deve essere un stretto rapporto di realtà, la scuola deve essere inserita nella realtà, sia antropologica, sia sociale. Noi abbiamo nelle scuole questo grande attivismo dei genitori, che aiutano per le feste, per il bazar, per costruire tante cosine, anche tavoli, come è capitato recentemente…, bamboline e così via. Questo è il punto: che rapporto abbiamo coi genitori? Sono semplicemente dei lavoratori che fanno qualcosa per la scuola? Che interazione c’è? Questo è un altro bel tema da discutere, perché a questo è legato l’inserimento della scuola nel nostro momento storico.
Il terzo tema che vorrei affrontare, il terzo ‘cerchio’ diciamo così, è quello legato alla vita del collegio in generale. Sappiamo che oggi in molte scuole europee la riunione di collegio è divisa in tre parti: un collegio pedagogico, di cui abbiamo parlato adesso e che è il vero cuore della scuola, però c’è tutta una parte organizzativa che deve essere affrontata e poi c’è il cosiddetto collegio interno, quindi c’è una tripartizione. Il collegio interno è quella parte degli insegnanti che si occupano del “Progetto scuola”: dove vuole andare la scuola, che cosa vuole ottenere a livello educativo, quali principi ha? Anche questa è una parte importantissima della scuola, perché è lì che la scuola riflette su se stessa ed approfondisce la sua identità, la sua identità Waldorf in una determinata situazione storica ed ambientale. Questa tripartizione del collegio può non essere oggi più tanto efficiente; nasce l’esigenza di attuare un’organizzazione migliore. Questo è particolarmente evidente nelle grandi scuole, che hanno otto classi, poi magari anche le superiori. Qui il collegio pedagogico (quello generale) può arrivare a dover trattare una quantità di questioni e di temi che alla fine si paralizza e non rimane più il tempo per fare un discorso sul progetto scuola, sull’idea, sulle motivazioni spirituali della scuola, come ho cercato di presentare in precedenza. In questi collegi generali tutti si sentono talmente oberati e stanchi per cui spesso ci si riduce ad affrontare solo le tematiche più indispensabili, del quotidiano. Se noi però lavoriamo in una scuola soltanto per il quotidiano, in poco tempo la scuola perde la sua qualità Waldorf. E questo è il destino di tutte le strutture ispirate dall’antroposofia. Steiner stesso si esprime chiaramente al riguardo come potete leggere in un bel libro, “Fare antroposofia”. Qui Steiner dice: “Una struttura, che può essere anche ottima, dopo un certo numero di anni non può essere più adatta alla sua funzione. Non possiamo rimanere legati ad una struttura come a qualcosa d’immutabile. Dobbiamo sempre evolvere, a un certo punto ripensare se questa struttura corrisponde agli obbiettivi spirituali-animici dell’organizzazione o se ormai è diventata qualcosa di morto, che ci blocca” . Quindi questo è un discorso che, secondo me, è oggi molto attuale nelle scuole per cui, sempre sulla rivista “Arte dell’educazione”, verranno stampati alcuni contributi su possibili altre strutture del collegio degli insegnanti ed anche dell’amministrazione della scuola, proprio per evitare questa paralisi, questo blocco.
Sapete che in molte scuole ci sono già delle commissioni che hanno un compito particolare nel cui ambito possono anche avere potere decisionale. In tal modo si delegano a queste commissioni delle funzioni che quindi non devono essere affrontate all’unanimità. Lo stesso principio delle decisioni all’unanimità va messo in discussione, perché, appunto, spesso può diventare il terrore dell’unanimità. Cosa voglio dire con questo? Se l’unanimità é intesa in senso stretto, assoluto basta che io dica di no e blocco tutto. Uno ha il potere di bloccare lo sviluppo della scuola semplicemente per il fatto che c’è questo principio dell’unanimità. Ma non esiste da nessuna parte in Steiner: Steiner parla di una grande maggioranza, non dell’unanimità.
Dietro tutta questa questione delle strutture stanno gli spiriti, le anime dei maestri e dei genitori, che si confrontano con l’ideale della scuola Waldorf e vogliono attuarlo e quindi hanno da cercare la struttura migliore, più adatta per poter funzionare e rispondere anche a tante richieste che provengono dall’esterno. E con questo arriviamo ad un altro punto, il rapporto della scuola con le altre scuole. Torna qui il tema del movimento Waldorf, nazionale ed internazionale.
Steiner ripete in tutti i cicli pedagogici che l’insegnante non può confinarsi al suo compito d’insegnante di classe o di materia in una determinata classe: una volta che egli abbia raggiunto una certa esperienza deve ampliare la sua visuale non solo in senso culturale ma anche sociale. Deve tendere ad ampliare il suo angolo visuale a livello di tutta la cultura, di tutto quanto avviene nel mondo. Questo è un compito molto impegnativo, ma ritengo che in ogni scuola ci debba essere almeno qualcuno, qualche insegnante che si preoccupa di andare oltre la vita immediata della propria scuola. Noi in Italia siamo piuttosto legati al nostro “campanile”, cioè: ‘la mia scuola è la migliore di tutte, quella che c’è a distanza, anche pochi metri, ah, quella è tutta un’altra cosa!’. In certe regioni d’Italia ci sono già degli esperimenti molto interessanti, ma in altri non c’è comunicazione, non si va oltre la fisica costruzione della scuola e questo, secondo me, sta diventando sempre più limitativo. Dodici anni fa è stata fondata la Federazione delle scuole Rudolf Steiner in Italia, che ormai è presente in tutta Italia, si è affermata come un valido elemento di promozione del movimento Waldorf in Italia. Per questa sua natura di essere nazionale consente una visuale, una comunanza, anche un’interazione tra diverse scuole, che vediamo anche in questa occasione. Quest’anno si è cominciata un’attività abbastanza interessante, quella di tutoring che ha riscosso un certo successo: alcune scuole si sono rivolte alla Federazione per avere un sostegno nei loro problemi e c’è stata una certa risposta, sempre inadeguata, naturalmente, ma qualcosa è avvenuto, in modo da aiutare le scuole attraverso interventi d’esperti o anche di mettere in comunicazione piccole scuole che sono appena nate con scuole più esperte, in modo da realizzare questo rapporto, in cui la piccola scuola possa sapere a chi rivolgersi quando ha bisogno d’informazioni, di spiegazioni didattiche e materiali. Questo è una cosa che crea un tessuto vivente all’interno dell’ambiente italiano, di comunicazione, di collaborazione che ritengo veramente molto positivo. Naturalmente i problemi della scuola sono pesanti, non c’è dubbio, e vanno affrontati, “presi per le corna”, perché non possiamo scaricarli all’esterno: i nostri bambini devono fidarsi di noi, i nostri genitori devono fidarsi di noi, però certi aiuti possono benissimo arrivarci da fuori. Se abbiamo il coraggio d’aprirci e d’aprirci sinceramente, in modo da permettere una comunicazione veramente sincera, nascerà la fiducia che un aiuto reciproco è possibile. Allora possiamo veramente aiutarci e così potenziare quest’attività così importante anche per l’evoluzione del movimento Waldorf italiano.
Ma questo non è tutto: vorrei soltanto comunicarvi alcuni fatti che sono emersi molto recentemente, sia a Dornach, sempre in quel convegno di metà aprile, dopo Pasqua, sia all’Expo su “Educazione e lavoro”, a Milano, fine aprile 2004, quando c’è stata una presentazione pubblica della pedagogia Waldorf.
In Israele esiste una scuola Waldorf in cui bambini ebrei e palestinesi frequentano insieme, nel tentativo di riuscire a creare una comunità al di là dell’elemento religioso, culturale, razziale. Anche qua affiora l’elemento dell’universale umano, questa è una cosa veramente importantissima perché ora constatiamo ogni giorno di più i guasti che porta il rimanere ancora collegati all’elemento razziale, con tutto questo sconvolgimento di passioni, violenza e crudeltà che lo accompagna. A Mannheim è nata una scuola interculturale, per bambini tedeschi e turchi in cui si parlano le rispettive lingue, dato che in Germania c’è una forte presenza di turchi. Quale successo avranno queste iniziative lo dirà il futuro, però anche questo è un tentativo di aprirsi al mondo, in particolare al mondo islamico.
Un’altra iniziativa interessante è in corso, promossa dalla Federazione inglese e a cui partecipano cinque Paesi: Inghilterra, Germania, Svezia, Olanda ed Ungheria. Si vuole formulare nel giro di tre anni un progetto di scuola Waldorf e di esame Waldorf da presentare alla Comunità Europea. Qui vediamo cinque Paesi che si mettono insieme per cercare di costruire un percorso che abbia una visibilità europea, non soltanto legata al singolo Paese. Questa tendenza al mondialismo è molto importante.
Ma c’è anche un altro aspetto, di cui possiamo appunto chiedere conferma ai nostri ospiti norvegesi: sempre lì, alla conferenza dei maestri, c’è stato un intervento del movimento norvegese. Il maestro norvegese che lo ha tenuto ha appunto raccontato delle attività in Norvegia (tra parentesi, la Norvegia adesso non è nell’Unione Europea). Raccontava che la Norvegia è certamente il paradiso Waldorf, questo lo sanno tutti: ci sono alunni che possono passare direttamente all’università senza sostenere un esame di Stato perché il lavoro dell’anno, quello conclusivo, è condotto in modo tale da avere valore legale. Una particolarità quindi non da poco e anche questo verrà pubblicato su “Arte dell’educazione”. Ma, disse il maestro, come sapete anche nei paradisi ci possono essere dei serpenti e questo serpente si chiama Unione Europea. Perché l’Unione Europea sta elaborando un concetto di controllo di qualità da estendere a tutti gli esami di tutti i Paesi, quindi riemerge la tendenza di confrontare tutti gli allievi a certi standard, diciamo europei. E questo è proprio uno degli argomenti che a noi non piacciono molto, perché appunto vogliamo che i ragazzi possano fare un percorso individualizzato, affinché diventino se stessi. Comunque questi temi andrebbero approfonditi e valutati, perché non è tutto oro quello che riluce, ovviamente. Ho voluto soltanto citarli per mostrare come sempre più diventa necessario questo confronto con le istituzioni, ottenendo il riconoscimento scientifico magari, come avviene già in Inghilterra, e perché no, con il riconoscimento a tutti i livelli da parte delle istituzioni. E ciò sia per evidenti motivi economici, ma, prima di tutto, dal punto di vista culturale e anche perché questa pedagogia nostra possa avere un influsso positivo sulla scuola statale. Questo è un altro elemento che, secondo me, diventerà sempre più importante nel futuro, perché appunto la scuola Waldorf ha delle conoscenze, soprattutto delle esperienze, che possono fecondare la scuola in generale e quindi portare una migliore educazione per tutti i bambini del mondo.
Va bene, ora io adesso ho finito, spero di non avervi troppo annoiato. (Applausi).


L’esperienza Waldorf in Norvegia
Relatore: Frode Andersson, insegnante della scuola Waldorf di Vestfold.
Traduzione di Karen Chapman, maestra di educazione musicale presso la scuola di Conegliano e membro del consiglio di amministrazione della Federazione delle scuole Rudolf Steiner in Italia.

Fabio Fantuzzi: Riprendiamo i lavori come previsto. Adesso abbiamo una parte dedicata ad una presentazione che ci verrà fatta da Frode Andersson, qui presente, insegnante dei ragazzi che vedete in fondo alla sala. Sono la dodicesima classe di una scuola norvegese, il cui nome vi dirà meglio Frode, perché non lo ricordo. Si presenterà anche da solo, per cui non aggiungo altro. Karen Chapman, insegnante della scuola di Conegliano, si è resa disponibile per la traduzione perché, ovviamente, Frode Andersson parlerà in inglese, quindi grazie a tutti.

Buonasera e grazie per aver invitato me e la mia classe. Grazie anche alle scuole che ci ospiteranno durante il nostro soggiorno in Italia. Un grazie speciale anche a Fabio Fantuzzi per il suo lavoro di “agente turistico”.
Abbiamo visitato la scuola di Trento ed abbiamo visto che, guardando in giro, pur essendo questa una scuola Waldorf di un Paese diverso, è sempre una scuola che ha, internamente, lo stesso aspetto. Credo che facciate anche gli stessi scherzi, le stesse barzellette fra di voi. Questa è una barzelletta corrente sulle scuole Waldorf: “Quando arriverà la fine del mondo, gli antroposofi e gli insegnanti Waldorf sicuramente saranno seduti in un incontro, in un convegno…”. Potrebbe accadere anche adesso! Il mio nome è Frode Andersson e sono insegnante da vent’anni della scuola Waldorf. Sono stato insegnante di classe, di arte, di storia dell’arte e di tedesco. Ho sempre insegnato nella stessa scuola. Mi piace molto insegnare, non sono amministratore. Nella mia scuola non è così comune questa divisione netta tra parte pedagogica ed amministrativa, ci sono insegnanti che sono anche amministratori. Durante questi ventun anni in cui sono stato in questa scuola, ci sono state varie riforme di amministrazione. Adesso siamo diventati una democrazia e si elegge per voto chi dirige la scuola. Questa scuola nacque nel 1973 su due piccole isole vicino ad Oslo e siamo progrediti subito alle superiori e la prima dodicesima classe è uscita dalla scuola nel 1985. Da allora sono usciti dalla scuola, dalla dodicesima cioè, 700 alunni, tutti con un certificato equiparato, si può dire, per poter andare a studiare ulteriormente all’università, senza dover sostenere un tredicesimo anno di scuola in preparazione alla maturità di Stato, perché in Norvegia la scuola Waldorf è riconosciuta a tal punto che gli alunni non devono sostenere un esame di maturità di Stato, ossia questo certificato viene rilasciato dalla scuola Waldorf. Dirlo così sembra un paradiso, ma effettivamente è stata una grande lotta per arrivare a conquistare questo riconoscimento. Probabilmente questo è anche dovuto al fatto che per la Norvegia, essendo un Paese con solo 4 milioni e mezzo di abitanti, tutte le vie da percorrere sono molto più brevi in questo senso e quindi il rapporto è tra uomo ed uomo, s’incontra direttamente l’interessato. Il consigliere personale del Ministro dell’Istruzione era un insegnante Waldorf. La classe che è qui tra noi è la ventesima dodicesima classe della scuola. Prima di venire in Italia, hanno avuto la possibilità ognuno di guardare la pagella, quest’ultima pagella che si riferisce a tutto il lavoro svolto negli ultimi tre anni della scuola superiore, quindi nel triennio conclusivo della scuola. Avevano la possibilità, in questa lettura di obiettare, prima di venir via, ed allegato vi è anche una descrizione del famoso lavoro, progetto che ogni studente individualmente porta nell’ultimo anno. All’inizio di giugno, quando saranno completate, queste carte andranno alle istituzioni e verranno lette da un comitato di valutazione a livello nazionale per gli esami Waldorf, che è un comitato a parte e quindi questi ragazzi lasceranno la scuola se avranno lavorato bene. Se l’esito è buono, avranno esattamente le stesse possibilità di accedere agli istituti superiori rispetto ai ragazzi che escono dalla scuola di Stato.
Le scuole Waldorf in Norvegia hanno un’altra caratteristica, in quanto tutti gli alunni hanno lo stesso ventaglio di materie da studiare e questo è per formare una base solida di studi generali, diciamo. Poi, se vogliono andare nella direzione, per esempio, di studiare medicina, allora si aggiungono alcune materie più specialistiche. Adesso avviene così in Norvegia, che alcune scuole Waldorf alle superiori si vedono costrette a specializzarsi sempre di più in una direzione o in un’altra, in modo da poter mantenere lo stesso buon numero di studenti, perché, nella scuola di Stato, dopo la decima l’elemento di specializzazione è molto forte e la scuola Waldorf ora si deve un po’ adeguare in questo senso per mantenere il livello di preparazione uguale. Per esempio, nella prima dodicesima classe si può dire che alcuni degli alunni hanno veramente dormito, cioè fino in dodicesima, negli ultimi tre anni erano ancora in un sonno profondo, perché non c’era necessità di questa scelta, oggi invece non è più così. Adesso anche la scuola Waldorf deve lottare per avere, a questo livello, una buona classe con circa venti alunni. La nostra scuola ha la caratteristica di essere una scuola Waldorf un po’ ortodossa, tradizionale e questo fa sì che ha un buon afflusso di persone, di studenti e di famiglie che ancora oggi desiderano avere per i loro figli questo processo fino in fondo. In questa scuola si tiene ancora molto a non obbligare i ragazzi a specializzarsi troppo presto e far si che il più possibile abbiano un largo raggio di materie di studio e così finalmente entra il discorso della libertà nella scuola Waldorf, perché quando poi i ragazzi arrivano a diciannove anni possono veramente sentire dove stanno le loro debolezze, dove stanno le loro forze e fare una scelta più cosciente e più reale per lo studio o la vita futura.
Rudolf Steiner stesso si trovava esposto a domande del tipo: “Perché ogni alunno deve imparare, per esempio, a forgiare metalli?” e lui rispondeva che, proprio grazie a tutta questa attività pratica, più avanti, quando i ragazzi hanno ventidue, ventitre, ventiquattro anni, queste facoltà, che erano dapprima facoltà pratiche mirate, diventano facoltà pratiche nella vita e quindi predispongono il ragazzo a sapersi destreggiare nella vita. Non dico, con questo, che la mia scuola Waldorf sia quella migliore, ma, causa le necessità o le pressioni del tempo, le altre scuole Waldorf hanno modificato il modello, diciamo, di studi. Per esempio, c’è una scuola Waldorf molto grande ad Oslo, con le dodici classi, che ha questi rami di specializzazione più marcati: scienza, arte, tecnologia e lì vanno molti alunni. Attualmente c’è sulla piattaforma di discussione tra le scuole Waldorf la ricerca della risposta alla domanda: qual è il limite entro il quale si può ancora definire scuola Waldorf?
Questa discussione intorno all’educazione c’è anche a livello nazionale, non riguarda solo la scuola Waldorf, in Norvegia è tutto un po’ in fermento in questo periodo. Non solo la scuola Waldorf ha un’ immagine dell’uomo, ce l’ ha ogni corrente politica e quindi ogni partito cerca di applicare al sistema educativo la propria immagine dell’uomo quando arriva al potere. Dalla fine della seconda guerra in poi la maggioranza dei governi è stata retta da socialdemocratici. I socialdemocratici hanno cercato di creare un sistema in cui ogni bambino in Norvegia, indipendentemente se vive al sud od oltre il circolo polare, doveva avere le stesse materie d’insegnamento, insomma doveva avere la stessa offerta. Anche uno spostamento, un trasferimento di una famiglia a questo punto non doveva presentare problemi, i bambini, così come avevano lasciato una scuola, ritrovavano gli stessi programmi. Si chiamava ‘scuola d’unità’. Adesso invece hanno un governo che, se non è completamente conservatore, comunque è dell’idea che tutto è un mercato aperto e quindi anche il sistema educativo lo deve diventare. Certamente questo modo di governo non rispetta la tripartizione sociale perché, di fondo, c’è la convinzione che la competitività è buona. Adesso si può entrare in Internet e scoprire, statisticamente, quali sono le cento migliori scuole per la matematica e così trovi anche per la ginnastica, la religione, la storia. Le scuole Waldorf in Norvegia non entrano in questo sistema, però c’è una certa pressione: il Governo avrebbe voluto cioè che le scuole Waldorf entrassero in questo sistema ed anche che applicassero i test nazionali, le valutazioni nazionali. Hanno dovuto richiedere una dispensa speciale perché i loro alunni non venissero sottoposti a queste valutazioni, ma anche loro non sanno per quanto tempo riusciranno a tenersi fuori da questo sistema. Dietro questa mentalità c’è questo, che pubblicando su Internet le cento migliori scuole per la matematica, questo dovrebbe stimolare le scuole meno buone a sforzarsi di migliorare e questo si chiama anche, da parte loro, controllo di qualità e quindi ritiene che la cosa migliore è che la scuola Waldorf faccia all’interno i suoi propri controlli perché finché non c’è questo controllo all’interno, sicuramente i controlli dall’esterno arriveranno.
Viene data molta enfasi al risultato cui perviene lo studente, invece la scuola Waldorf guarda molto di più a quel che viene dato, al nesso tra educazione ed apprendimento. E’ molto più importante chiedersi quando è il momento giusto d’insegnare la matematica o un’altra materia e a che livello arrivare in quella tappa di sviluppo del ragazzo. Sicuramente sarà un punto di discussione molto forte nei prossimi tempi, come far fronte cioè a questa pressione per i risultati. A questo punto però bisogna chiedersi come sono in generale le scuole norvegesi, perché ci sono degli elementi comuni tra la scuola di Stato e la scuola Waldorf in Norvegia che hanno a che fare con l’essere norvegese.
Molti pedagogisti pensano adesso che la scuola Waldorf in Norvegia sia diventata troppo amica degli studenti, troppo proiettata verso gli studenti. C’è, per esempio, una discussione in generale sugli elementi maschili e femminili di una scuola e questo è anche nella scuola Waldorf un elemento, un punto di discussione molto importante: li lasciamo salire sugli alberi grandi o facciamo far loro piccole pitture belle? In Norvegia sta di fatto che le ragazze primeggiano in tutte le materie, su tutta la gamma di materie. Anche questo è un dibattito aperto ed interessante. Appunto alcuni dicono che questo rapporto tra studenti ed insegnanti è troppo amichevole. La critica è che viene data troppo importanza all’elemento educativo pastorale, sociale nella crescita dei ragazzi, anziché mirare ai risultati didattici.
Com’era l’Italia nel ‘rapporto PISA’? Voi sapete cos’è questo ‘rapporto PISA’? No? Forse Mario (Mario Conti n. d. tr.) due minuti che lo spieghi…
Intervento di Mario Conti:
PISA (Programm for International Student’s Assesment) è un’indagine che fa riferimento ad un progetto dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economici) per confrontare l’efficacia dei sistemi formativi dei paesi ad essa aderenti. E’ stato messo a punto un sistema di test strutturati secondo normative internazionali per la misurazione delle competenze dei giovani di 15 anni in lettura, in matematica ed in scienze. Questa indagine che è partita quattro anni fa, ha già fornito dei risultati e l’anno scorso è appunto stata presentata al pubblico con un librone di ottocento pagine, mi pare. Molti Paesi di tutto il mondo, anche America, Giappone, Corea hanno fatto nelle loro scuole gli stessi test per una nona classe, 14-15 anni d’età e questi test erano test di comprensione, comprensione di un testo, un testo in lingua e poi dei test di matematica e i risultati di tutte queste scuole sono stati esaminati e sono state fatte delle graduatorie sulla comprensione e sull’esecuzione dei calcoli. Dopo tre anni, quindi, questi test sono stati elaborati ed è stato scritto il “librone”. In base a questa inchiesta è stata anche stilata una graduatoria da cui risulta che i migliori Paesi sono appunto del Nord Europa: Norway, Finland, ma anche Nord Corea… mi pare…anche l’Italia? Ho mandato una e-mail al Ministero dell’Istruzione, ma non si sa bene se hanno partecipato o non hanno partecipato…comunque, insomma, sulla base di quei risultati alcuni Paesi, come la Germania, hanno cercato di rinforzare lo studio della cognizione. Quindi c’è tutto un movimento in Europa per conoscere, interpretare e superare i limiti presentati dai risultati del primo step dell’indagine PISA . E’ in corso ora l’ultima parte dell’indagine che riguarda appunto le scienze. I test sono stati anche integrati con un’ulteriore tematica: la risoluzione di problemi. In Pisa 2003, l’obiettivo della valutazione per la risoluzione di problemi è di raccogliere informazioni in grado di descrivere quali processi cognitivi utilizzano gli allievi di 15 anni, quando confrontano e risolvono dei problemi.
Riprende Frode Andersson:
In questo primo rapporto c’erano, diciamo, delle valutazioni anche meno mirate, ma che riguardavano più qualche altro elemento, per esempio la disciplina nelle scuole e sono risultate peggiori le scuole greche e norvegesi. Di fatto, nella scuola Waldorf i problemi di disciplina sono molto inferiori, perché i ragazzi sono molto più motivati nell’apprendimento.
Karen Chapmann: Chiede se vogliamo parlare un po’ di denaro…
Non ho il polso della situazione veramente nei dettagli, perché attualmente ci sono molti incontri tra persone del Governo ed il movimento delle scuole Waldorf in Norvegia. Siamo molto fortunati perché riceviamo circa l’ 85% una sovvenzione per gli stipendi degli insegnanti e per l’amministrazione corrente delle scuole…Andiamo tutti in Norvegia! (dice Karen Chapman…risate) e lo stesso non siamo contenti! (risate). Paragonati all’Italia ed a qualche altro Paese dovremmo essere felici. Per esempio, non riceviamo denaro per edifici scolastici nuovi e così, per esempio, in questi venti, trent’anni nella mia scuola abbiamo sempre avuto penuria di aule, cioè ce ne mancano sempre due, tre, quattro aule. Adesso abbiamo bisogno di una palestra nuova, per esempio. Abbiamo adesso una palestra a mo’ di tendone e che chiamiamo “Plasticanum”. Dovremmo, sappiamo che dovremmo essere contenti. C’è stato anche un aumento degli stipendi nel tempo, che però, dopo ventun anni d’insegnamento nella scuola steineriana, evidenzia che se avessi insegnato nella scuola di Stato avrei guadagnato il 30% in più. Nonostante ci siano queste “zone” non proprio felici nell’economia della scuola, cerchiamo lo stesso di tenere le quote mensili molto basse, per esempio per il primo figlio di una famiglia chiediamo una retta intorno…non ho neanche il coraggio di dirlo!( intervento di Karen Chapmann)…ai 120 euro, perché giustamente non vogliamo diventare un college tipicamente inglese. E’ pur sempre una scuola libera e quindi ci teniamo a mantenere una situazione tale per cui non vi sia l’esclusione di nessuno per motivi economici. Credo che comunque, nonostante tutto, il movimento Waldorf in Norvegia riuscirà a mantenere la sua indipendenza, la sua libertà, anche se la pressione dall’esterno per una maggiore competenza professionale da parte degli insegnanti sicuramente aumenterà e anche questa necessità dello Stato di esercitare il controllo dall’esterno. Motivo è che in Norvegia chiunque, in teoria, può aprire una scuola. Fino a poco tempo fa ci sono state solo le scuole di ordine religioso, le scuole Waldorf e qualcun altro, che riuscivano veramente a gestire delle scuole indipendenti dallo Stato. Quello che ho detto prima accadeva durante il governo dei socialdemocratici; adesso, con questo nuovo governo, chiunque può aprire una scuola, però deve garantire che la qualità sia quella della scuola pubblica, che ci sia un programma di studio adeguato, praticamente, e che gli insegnanti siano in regola. Inizialmente hanno dato molta libertà in questo senso, però dopo due anni c’è stato un controllo a tappeto ed il risultato è stato che il 40% di queste scuole private non era all’altezza. Per fortuna nessuna scuola Waldorf risultava su questa lista nera. Il nostro seminario di formazione insegnanti ha avuto delle critiche, ma, tutto sommato, lo sviluppo della scuola Waldorf è positivo ed è fondamentale che noi continuiamo a studiare ed approfondire le idee di Rudolf Steiner, perché c’è una tendenza nel dire: “Rudolf Steiner ha avuto il suo tempo, adesso noi dobbiamo progredire da soli, con le nostre forze” e io personalmente credo che effettivamente ciò che Rudolf Steiner ci ha indicato come pedagogia solo adesso sta cominciando a svilupparsi.
Grazie mille. (Applausi)
Se ci sono delle domande, sicuramente, quindi chi vuole in questo spazio che rimane può fare delle domande. Chi vuol fare direttamente la domanda in inglese la può fare, ma Karen ci aiuta ancora.
Volevo saper se occorre un titolo abilitante del Governo per poter insegnare.
No, ancora no, basta il seminario Waldorf, cioè l’attestato Waldorf, anzi, c’è ancora molta libertà in questo senso perché, per esempio, nella mia scuola alcuni insegnanti hanno il seminario di formazione, ma altri insegnanti sono persone che nel corso della propria vita hanno conquistato la competenza necessaria.
Quante scuole ci sono in Norvegia?
Sono una trentina di scuole, di queste circa 12 hanno tutto il ciclo fino alla dodicesima.
La famiglia manda i figli alla scuola Waldorf perché è una bella scuola o perché dietro c’è la consapevolezza di uno studio dell’antroposofia?
Per tutti e due i motivi, però quello predominante non è la consapevolezza dell’antroposofia da parte dei genitori, ma perché riconoscono che la pedagogia è valida. C’è stato anche, nel corso del tempo, una cattiva interpretazione, cioè c’è stato il fenomeno di chi ha visto “scuola privata”, allora ha mandato i figli perché voleva darsi un tono. Una tendenza che cresce è la domanda di accogliere bambini con bisogni speciali. Noi possiamo fare molto, soprattutto con la pedagogia curativa e possiamo aiutare tantissimi di questi casi, ma non possiamo aiutare tutti.
Con questo ordinamento, i ragazzi possono entrare in facoltà come medicina, ingegneria, fisica od occorre un esame integrativo?
Effettivamente i ragazzi possono accedere a qualsiasi facoltà universitaria, solamente alcune, tipo medicina, richiedono ai ragazzi di fare degli esami ulteriori, cioè oltre il normale piano di studi. I ragazzi questo lo sanno e lo fanno. Questo vale anche per la scuola di Stato, perché per andare in certe direzioni occorre specializzarsi prima.
Quindi esami d’ingresso?
Fino ad un certo punto sono materie che possono essere studiate ancora a scuola, però veramente danno solo l’inizio.
Quante scuole di formazione ci sono in Norvegia?
Una, a Oslo. C’è un solo seminario di formazione ad Oslo ed effettivamente questo unico seminario è bastato, fino ad ora, per fornire gli insegnanti alla scuole Waldorf.
Vorrei sapere come è organizzato il corso di formazione, quanto dura e poi se agli allievi è richiesto un titolo di studio particolare oppure no.
Il seminario dura tre anni, però l’ultimo anno è dedicato molto ai tirocini e quindi all’esercizio pratico dell’insegnamento presso le scuole. Non devono avere titoli particolari, devono avere la motivazione giusta, non troppo giovani e quindi si guarda più a chi entra.
Quindi lei dice che, fino ad ora, questo unico seminario ha consentito di avere un numero d’insegnanti sufficiente per le esigenze delle trenta scuole Waldorf. Volevo sapere appunto quanti iscritti ci sono mediamente e che percentuale poi di questi va ad insegnare.
Venticinque, trenta per anno. La maggioranza, non ho un numero preciso, ma la maggioranza. E’ sovvenzionato dallo Stato, ma c’è anche un costo.
Volevo chiedere come s’inseriscono nel mondo del lavoro quelli che non continuano gli studi e anche se ci sono ragazzi che poi sono andati ad insegnare nelle scuole steineriane.
Si, vanno ad insegnare. Già mi trovo ad avere i miei ex – alunni come colleghi. Quelli che raggiungono la dodicesima classe sono comunque proiettati ad andare avanti con gli studi. Quelli che invece sono più portati verso il lavoro, l’artigianato e così via lasciano la scuola alla decima; uscendo dalla decima però questi ragazzi sono in media un po’ più vecchi di altri ragazzi che lasciano la scuola, quindi hanno questo, che sono più capaci, quindi non c’è problema.
Volevo chiedere se poteva parlarci dei rapporti coi genitori e quale grado di partecipazione hanno al di là del contributo economico.
I genitori nell’ ambito della scuola sono organizzati come un organismo a sé, lo sappiamo e come tale sono molto attivi: si riuniscono mensilmente e in queste riunioni sono presenti persone di tutte le classi (lui ha detto rappresentanti e questo lo voglio dire perché ho capito che non sono in forma di rappresentante, ma di referente, cioè deve essere assicurata la presenza di almeno un genitore per ogni classe : nota di Karen Chapmann) e loro si prendono la piena responsabilità delle cose più pratiche della scuola, delle festività, del bazar, delle feste di primavera e tutto quello che è il reperimento fondi per le iniziative della scuola.
Vorrei sapere che rapporto c’è tra la vita antroposofica, la nascita di una scuola e la vita sociale di una scuola.
Parlo del mio caso, della mia realtà, in cui l’elemento antroposofico sta più sullo sfondo oggi nella scuola rispetto a quando ho cominciato ad insegnare, quando la scuola era ancora giovane. Adesso la mia scuola ha trent’ anni e quindi ha un andamento un po’ a “pilota automatico”. Mentre i primi anni l’elemento antroposofico era il motore, adesso ha preso l’avvio e va. Ci sono pochi insegnanti nella sua scuola che frequentano gruppi di studio d’antroposofia, così, in conclusione, riflettendoci, posso dire che nei primi anni c’era nella scuola un movimento spirituale più forte rispetto ad oggi.
Ho una domanda: se ci sono iniziative, come in Svizzera o Germania, di scuola – lavoro.
No, in generale no. C’è una scuola dove c’è questo tipo di progetto, dove si cerca d’integrare il lavoro con la scuola.
In Italia servono molti anni per creare una scuola. Accade anche in Norvegia?
Si, succede la stessa cosa e poi ci sono anche scuole che nascono e poi non ci sono più, non funzionano.
Ho un’ultima domanda: il riconoscimento di una scuola Waldorf che parte, chi garantisce che quella che parte è una scuola Waldorf, nei confronti del Governo, da cui ottenere un riconoscimento economico?
La nostra Federazione.
Quali sono gli orari tipo della scuola in Norvegia e vi è un ricambio intenso nel corpo insegnante?
Dalle 8.30 alle 15, dal lunedì al






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